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Educazione e Karate-Do

Testo dell'intervento del Maestro Paolo Spongia alla conferenza dal titolo :
Un Ponte Tra oriente ed Occidente.
Tenutasi in Tivoli il 13 Ottobre 1996.




" .....Insegno Okinawa Goju-Ryu Karate-Do e pertanto mi sento particolarmente vicino alle Arti Marziali Cinesi perché il mio stile mantiene intatte le sue radici cinesi. Il Maestro Kanryo Higaonna insegnante del Maestro Chojun Miyagi, fondatore del Goju- Ryu, trascorse 15 anni nella Cina del Sud, nel Fuchao, studiando alla scuola del Maestro Ryu Ryuko... Inoltre nell'ambito del Comitato regionale della FILPJK mi occupo della formazione degli insegnanti tecnici per quel che riguarda la cosiddetta metodologia pre-agonistica: la didattica sotto il profilo pedagogico e metodologico da applicare nell'allenamento giovanile.
Parlerò in generale della situazione attuale nel mondo sportivo per poi scendere nel dettaglio delle nostre Discipline.
Il definire l'attività giovanile : fase pre-agonistica, può causare una comprensione errata dell'allenamento giovanile. Si può arrivare a credere, e questo è accaduto, che l'allenamento del giovane abbia come finalità primaria la costruzione dei presupposti necessari all'introduzione all'agonismo e questa è certamente una deviazione che ingenera tutta una serie di problematiche.
La nostra cultura ci ha abituato ad una ricerca esasperata della prestazione, in ogni campo e spesso a tutti i costi. Gli organi di informazione, i mass media, la stessa impostazione didattica della nostra scuola spingono a questa concezione deviata della vita e nel nostro caso dell'attività sportiva.
Stiamo arrivando al punto che se un individuo, in particolare il giovane, che pratica un'attività sportiva, non emerge in campo competitivo, non diventa un campione, è considerato un fallito. Stiamo arrivando a questo. Si sta perdendo, se non si è già perso di vista , il valore fondamentale dello sport : lo sport come libera e creativa espressione del proprio corpo e della propria mente e soprattutto come strumento di sviluppo dell'individuo in quanto tale non solo in vista del confronto con l'altro.
La ricerca, sotto il profilo metodologico-scientifico è tutta indirizzata verso il <come> ottenere sempre più rapidamente ed in modo più efficace il massimo della prestazione in campo competitivo, il <chi>, il soggetto agente, l'individuo con tutte le sue implicazioni e complicazioni entra in gioco solo come una delle tante variabili da considerare per ottenere comunque il risultato finale che sarà la vittoria in gara.
L'Uomo da obiettivo, da finalità è divenuto un mezzo.
Da questa tendenza deriva quel grave problema che si manifesta oggi più o meno in tutte le discipline sportive che è il cosiddetto fenomeno dell'abbandono.
Quando parlo di abbandono non mi riferisco al bambino o al ragazzo che lascia un'attività sportiva per praticare un'altro sport. Quando si parla di abbandono ci si riferisce a quel rifiuto totale e definitivo che il giovane viene ad avere nei confronti dell'attività sportiva in generale, del mondo dello sport, dopo essere stato sottoposto ad una metodologia completamente errata.
Con i gravissimi danni che ben potete immaginare come perdita per questi giovani della possibilità di sviluppare appieno tutte le proprie potenzialità funzionali e strutturali attraverso una corretta educazione motoria.
Soprattutto oggi che l'urbanizzazione costringe un numero sempre crescente di bambini a crescere relegati in un appartamento e pertanto le possibilità di sviluppare spontaneamente le loro abilità psicomotorie sono ridotte al minimo.
Questo rifiuto nei confronti dell'attività sportiva è determinato da quella tendenza diffusa che è la <specializzazione precoce> e cioè un allenamento finalizzato troppo anticipatamente alla competizione, ripetitivo, stereotipato e stressante, che porta i ragazzi ad abbandonare l'attività sportiva per ritrovare quel che avevano perso nel periodo degli allenamenti, la gioia di giocare e di esprimersi attraverso il corpo nella scoperta di sé stessi, anche attraverso il confronto con gli altri ma non esclusivamente in funzione di esso.
E quei giovani che resistono a questo vero e proprio imprinting culturale, e divengono dei campioni, non è detto, non è assolutamente detto che siano diventati anche degli uomini.
Basta guardarsi un po' intorno per verificare ciò che dico.
Di esempi di campioni che, parallelamente alla loro alta efficacia tecnico-tattica e atletica, abbiano sviluppato un'altrettanto elevata maturità psicologica e perché no etica se ne vedono davvero pochi.
In genere il risultato di questo imprinting è un individuo pieno di sé, con un senso della realtà, soprattutto sotto il profilo relazionale, completamente deviato, che viene spremuto e abbandonato al termine dell'attività agonistica.
Attenzione, con questo non voglio togliere nessun valore alla competizione intesa come momento di confronto educativo e di crescita, ma che non può assurgere ad obiettivo esclusivo della pratica in particolare di quella giovanile.
Si deve sempre tenere a mente che l'obiettivo dell'allenamento giovanile è di permettere ad ogni bambino di sviluppare appieno tutto il suo potenziale motorio, psico-motorio, affettivo.
Ripeto spesso che ogni bambino nasce con un differente potenziale ereditario che è come una sorta di conto in banca, la cui entità di partenza ne condizionerà certamente il tipo di sviluppo, ma che sarà una dotazione suscettibile di poter essere aumentata in relazione all'utilizzo che ne viene fatto. E' per che questo che chi svolge ruoli pedagogici ha una grandissima responsabilità.
Le arti marziali oggi, correttamente trasmesse, e ripeto correttamente trasmesse, perché la tendenza è la stessa degli altri sport e cioè a privilegiare l'aspetto competitivo abbandonando tutto ciò che non attiene e porta rapidamente al risultato agonistico, compreso quindi tutto il vasto bagaglio tecnico-motorio ed educativo proprio dell'arte marziale. Dicevo, le Arti Marziali, oggi, possono colmare questo vuoto educativo.
L'arte marziale, nella sua autentica accezione è sempre stato un mezzo di crescita per l'uomo in quanto tale, indipendentemente dalla sua età anagrafica.
L'arte marziale ha da sempre come obiettivo il raggiungere l'eccellenza per l'Uomo.
Anche quando era un puro strumento di guerra, ebbene anche allora, lo sviluppo della personalità del guerriero era comunque alla base anche dell'efficacia sul campo di battaglia.
Quando parlo di eccellenza mi riferisco al senso classico del termine.
Per eccellenza va inteso il massimo sviluppo del proprio potenziale non limitato ad un settore della vita ma a tutta la sua possibile estensione.
Ma per confrontarsi con se stesso, per conoscersi e conoscere la realtà che lo circonda, l'uomo deve utilizzare uno strumento fondamentale che è la presenza, la presenza mentale.
Tutta l'educazione delle arti marziali ruota intorno a questo, l'educazione alla presenza. Oggi più che mai l'uomo ha bisogno di riscoprire la capacità di essere presente.
Mi aiuterò leggendovi un brano tratto da un insegnamento che un grande educatore contemporaneo, il Maestro Fausto Taiten Guareschi, insegnante di arti marziali e monaco zen, ha dato a degli insegnanti di Judo:

...Il problema che resta fondamentale è quello della presenza. Se noi uomini non siamo presenti a noi stessi, siamo morti, anche se prendiamo il cappuccino alla mattina e vediamo la televisione alla sera. Nella nostra civiltà più che mai, malgrado i grandi "progressi", è più facile essere non-presenti che presenti.....
...Quando salite sul tatami, o prima di un combattimento, voi fate il saluto. Qualcuno ha detto che è un cambiamento di stato è essere presenti....... .....Per poter essere presenti, però, non è sufficiente volerlo. Presenza implica preparazione; voi potete essere presenti nella misura in cui avete affinato gli strumenti che vi consentono di esserlo. In altre parole, ordinare il nostro pensiero, ordinare il nostro cuore, ordinare il nostro corpo: questo è il fine stesso del Judo...
...Il Judo non è fatto per vincere un nemico: è fatto per lavorare ad un progetto ben più vasto, insieme.>

Capite quale immenso orizzonte si dischiude alla nostra pratica quando riusciamo a vivere quest'idea: L'arte marziale non è fatta per vincere un nemico ma per lavorare ad un progetto ben più vasto, insieme.
L'arte marziale è quindi un sofisticato strumento educativo.
Oggi si confonde spesso l'educazione con l'erudizione, il pensiero concettuale.
L'uomo, il giovane, è bombardato di nozioni, concetti, teorie, che sempre più raramente vive sulla propria pelle. Eppure l'autentica educazione passa prima attraverso la pelle, attraverso il corpo che attraverso la ragione. In giapponese si dice : I shin den shin : da cuore a cuore.
Educare, dal latino ex-ducere, significa tirar fuori, permettere ad ognuno di esprimere il meglio di sé in ogni situazione della vita.
E' per questo che le Arti Marziali seppur arricchite delle nuove conoscenze metodologiche devono conservare il loro ruolo educativo attraverso la trasmissione culturale che viene dalla tradizione. Una tradizione che ci fornisce dei sofisticati strumenti educativi.
Oggi c'è la tendenza, che deriva da quella che Lorenz definisce "mentalità tecnomorfa", a voler abbattere la tradizione alla radice, perché tutto ciò che non è facilmente dimostrabile scientificamente non viene ritenuto valido e degno di fede. Lorenz ha individuato in questa tendenza uno dei più gravi pericoli per la nostra civiltà. Afferma Lorenz:

" ...Nella stessa direzione opera un atteggiamento senz'altro corretto nella ricerca scientifica, che consiste nel non credere in nulla che non può essere dimostrato con certezza. Born ha sottolineato quanto sia pericolosa questa forma di scepsi nei confronti della tradizione culturale. Il sistema della tradizione contiene un'inestimabile tesoro di informazioni che non possono essere confermate con i metodi scientifici. E' anche per questo motivo che i giovani con <mentalità scientifica> tendono a diffidare di ogni tradizione culturale. La coscienza che l'essenza della ritualizzazione culturale consiste in un sicuro processo di acquisizione di informazioni potrebbe eliminare questo pericolo...."

Pertanto la tradizione è cultura. Una cultura profonda che, come dicevo, passa più attraverso il corpo che attraverso la ragione influenzando la coscienza.
Quando, nemmeno molti decenni fa, nelle nostre famiglie al momento del pasto, i figli non sedevano a tavola finché il padre non si era seduto e nessuno iniziava a mangiare se quel cibo non era stato per così dire santificato con il ringraziamento. Ebbene in quei momenti, attraverso quelle forme, si trasmetteva cultura, si acquisivano dei valori.
Potrei paragonare quel momento denso di significato al saluto rituale che precede e segue la lezione di arti marziali. Ma in quante scuole oggi si da il giusto risalto a questo importante momento educativo?
e questa è una risposta che mi dovete dare voi.
Anche le arti marziali dunque fondano la loro trasmissione educativa sul raggiungere attraverso le forme una dimensione più elevata dell'esistenza.
La ritualizzazione culturale, la forma, in giapponese Kata, porta informazione. Informarsi significa proprio acquisire sapere, conoscere, tramite la forma. Lorenz chiama le forme : sistemi comunicativi non linguistici. Ma quando si parla di forma, kata, non si intende semplicemente quella sequenza codificata di tecniche che noi tutti conosciamo, ma ci si riferisce al rapportarsi con l'ambiente, con gli altri,a comunicare attraverso la forma. Quindi sarà kata il comportamento da tenere nei confronti dell'insegnante, dei compagni di pratica, il modo di avere cura delle cose e del Dojo...
Guareschi ha detto:

"...Incontrare l'insegnante è impossibile fintanto che uno non vive una dimensione culturale che lo permetta. L'incontro, l'imbattersi con quel <veicolo> è possibile solo all'interno di una precisa tradizione. Se non si comprende ciò , si possono frequentare tutte le palestre di questo mondo, incontrare tutti i maestri che volete, ma di fondamentale in voi non succede nulla. E' inutile che cerchiate una cosa o l'altra: non troverete niente, troverete semplicemente questa incapacità di riferirvi alla realtà come Unico, come Reale Totale, quindi vorrete emergere, ci sarà sempre in voi questo bisogno di emergere, in un campo o nell'altro, un disperato bisogno di affermarsi, ma che non sarà mai basato sulla consapevolezza di questa Idea ( idea platonica in un certo senso) di Superiorità, di Eccellenza. Perché voi ormai non capite più qual'è la dimensione dell'Eccellenza per l'uomo, per l'individuo in quanto membro di una società e componente di un universo. Questo è il punto! Essere sensibili a questo suppone non solamente elementi cognitivi di tipo autocosciente, razionali, ma suppone la capacità di affidarsi, affidarsi per esempio al rito: riconoscere la capacità di trasmettere certe conoscenze nel rito. Quando salite sul tatami, togliete le ciabatte e fate il saluto, dovete essere consapevoli che state conoscendo, al di là di ciò che potete apprendere razionalmente. C'è un piano cognitivo esperienziale che trascende l'esserne consapevoli o meno. Qui si apre tutto un altro orizzonte...."

Ecco allora che oggi, in una società dove il divario tra le generazioni si allarga in modo esponenziale e lo stesso contatto e comunicazione tra le generazioni diventa sempre più difficile venendo così a mancare per il giovane i necessari modelli di riferimento culturale ed etico, ecco che il maestro di arti marziali può assumere un rivoluzionario ruolo educativo.
E quando parlo di rivoluzione non intendo il costruire qualcosa di nuovo sulle macerie del vecchio, ma ancor più rivoluzionario è il riscoprire e vivere valori che sembravano perduti per sempre.
Se osserviamo bene la storia possiamo vedere come tutti i nostri grandi predecessori non hanno fatto nulla di più che riscoprire e reinterpretare sulla base della loro esperienza valori assoluti.
Ma per poter assumere questo ruolo non basta avere un diploma appeso al muro. E' necessario, perché il maestro diventi realmente un modello ed un riferimento, che il suo insegnamento vada al di là delle parole,che dia testimonianza con la sua vita del risultato che ha dato il lavoro svolto su di sé attraverso la pratica dell'arte marziale.
Qualcuno ha detto che non si insegna mai ciò che si dice o si fa ma si insegna sempre e solo ciò che si è. Questo naturalmente non toglie alcun valore a quel che si dice o si fa ma l'azione deve coincidere perfettamente con ciò che si è perché acquisti efficacia comunicativa.
Lorenz afferma che la trasmissione culturale da una generazione all'altra può avvenire solo a condizione che il giovane provi rispetto per l'anziano, per il depositario della tradizione.
Ma questo rispetto si guadagna con la coerenza e la sincerità del proprio comportamento.
Anche il rapporto maestro-allievo deve essere rivisto alla luce di ciò.
Vorrei concludere con delle parole del Maestro Jigoro Kano (fondatore del Judo) che mi commuovono profondamente:

" L'educazione è ciò che di più grande ed esaltante vi è nella vita. E' un grande onore dedicarsi ad essa. Educando si possono influenzare migliaia di esseri umani e questa azione perdurerà per generazioni".

Grazie.


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