Ken Zen Ichinyo

di Andrea Ramberti

articolo pubblicato sull'International Newsletter IOGKF Settembre 2010

Dopo 12 edizioni presso il monastero Zen di Fudenji e 4 in Olanda, per la prima volta a Roma , dal 18 al 20 giugno, si è svolto il 17° Ken Zen Ichinyo Gasshuku sotto la guida di Sensei Paolo Taigō Spongia. L’incontro ha alternato Zazen, pratica di Qi Gong e pratica di Karate.

In realtà è riduttivo distinguere le diverse attività costituenti tale tipo di Gasshuku, poiché il significato di Ken Zen Ichinyo è: “il Karate e lo Zen sono una cosa sola”, e una cosa sola è ciò che abbiamo praticato. La meditazione e le pratiche si sono avvicendate in modo armonioso, senza far percepire alcun cambiamento o interruzione di tema.

La Via dell’ arte marziale, attraverso lo Zen, supera i limiti della mera preparazione fisica. L’influenza che lo Zen ha avuto nella pratica del Karate è già evidente fin dalla nascita degli ideogrammi utilizzati per definire tale arte marziale e dal loro significato. All’inizio del ventesimo secolo si comincia a tracciare un nuovo ideogramma per riferirsi ad un’arte di autodifesa che fa uso delle mani; a mani “vuote”, appunto.

Il significante per kara sta ad identificare il “vuoto”, e poteva essere pronunciato anche “ku” (vacuo) o “sora” (cielo). Ritroviamo così, uno dei precetti dello Zen: lo spirito deve essere vuoto (ku).

L’ideogramma kara non solo rappresenta qualcosa di fisico, sta anche ad identificare il metafisico (“meta”= oltre, “fisica”= materia o natura). Da sempre kara si riferisce ad antiche dottrine buddiste che perseguono il distacco, l’emancipazione spirituale e l’interiorizzazione (vuoto interiore). Praticando Zazen il karateka può provare lo stato di Mushin (non-mente), che è la condizione indispensabile per ottenere la massima efficacia nel combattimento.

Lo Zen insegna a prendere coscienza del proprio essere nel momento presente: il passato non esiste se non nella nostra mente come ricordo e il futuro diviene esclusivamente un’aspettativa personale. È dunque necessario vivere nel presente, nell’istante contemporaneo al respiro, al nostro alito vitale: qui risiede la vita intera. L’elemento intrinseco della via verso il kara si può sintetizzare con una nota locuzione latina, l’hic et nunc1, che esalta la piena consapevolezza ed intensità del nostro essere e del nostro agire perfettamente collocate nel tempo e nello spazio.

Il respiro è dunque elemento imprescindibile della meditazione Zen, così degli esercizi di Qi Gong e della pratica del Karate. Le analogie ed i legami tra tali discipline, tra spirituale e fisico, non si limitano però alla respirazione.

Nello Zazen, esattamente come  nella pratica di qualsiasi arte marziale, è determinante la postura; quest’ultima, infatti, è volta a far ritrovare l’armonica integrazione e interazione di noi stessi col mondo naturale circostante.

Il corpo funge da strumento cognitivo al pari dell’intelletto, la chiara consapevolezza della propria postura porta al raggiungimento di un equilibrio di cui giovarsi nel Karate.

Durante lo Zazen la mente è libera, la testa è leggera, non ci sono pensieri2, e così nella pratica del Karate siamo più facilmente in grado di applicare l’insegnamento del “qui ed ora” (dell’azione pienamente e totalmente conforme alla situazione presente) per trarne la massima efficienza nel combattimento così come nella’azione quotidiana.

Il passaggio da un’attività ad un’altra non ha interruzione: la percezione, la meditazione, si compenetrano nella pratica; ogni attività è esercizio preparatorio alla successiva ed è perfezionamento della precedente; ogni esercizio è volto alla ricerca dell’armonia, dell’equilibrio e dell’efficacia.

Il Karate e lo Zen si fondono con naturalezza, divengono simbionti che si arricchiscono positivamente l’uno dell’altro.

La corretta meditazione Zen, così come insegnata e trasmessa dal Buddha, insieme alle tecniche di combattimento ed a quelle energetiche, ristabiliscono il corretto equilibrio mente-corpo; trasformandosi, da dualità ad espressione unica dell’essere presente a sé stesso, perfettamente armonizzato col fluire dell’azione karmica universale in un determinato istante spazio-temporale.

La meditazione è il fondamento insostituibile dell’azione; favorisce l’immediatezza della comprensione attraverso il corpo, del significato profondo del Budo e ristabilisce l’intuizione primordiale, perduta dall'uomo moderno e che le Arti Marziali si prefiggono di recuperare.

Uno dei temi trattati nei momenti di approfondimento con Sensei Taigō è l’attenzione rivolta alla corretta comprensione e attuazione di ogni insegnamento, ad una realizzazione impeccabile di ogni particolare atteggiamento dell’animo e del corpo;  se così non fosse, i danni arrecati sarebbero maggiori dei benefici. Sicuramente è necessario che l’allievo si prefigga l’eccellenza, ma la figura del Maestro, nel Budo come nello Zen, è fondamentale, in quanto presenza indispensabile per vigilare sull’esatta comprensione e realizzazione dell’insegnamento stesso da parte del deshi (discepolo-allievo).

Durante una lezione introduttiva sullo Zazen, Sensei Spongia ha spiegato la corretta postura da assumere durante la meditazione Zen (divulgazione dell’insegnamento), ma se si fosse limitato a ciò pochi di noi avrebbero potuto concentrarsi per potersi avvicinare al vero significato dello Zazen, soprattutto per chi è alle prime esperienze come me. Personalmente sedendo in Zazen ho provato dolore e sono stato assalito da una miriade di dubbi sulla corretta applicazione dell’insegnamento, dubbi che possono vanificare l’approccio meditativo. In momenti di tale difficoltà, la presenza di Sensei Taigō è stata fondamentale: la sua voce, con tono pacato e regolare, ci ha guidato nella correzione della postura e della respirazione (corretta attuazione dell’insegnamento) e nella comprensione di tutte le sensazioni che si liberano durante lo Zazen, senza tralasciare le sofferenze che alcuni di noi provavano a causa della costrizione fisica contingente.

Sensei Taigō ha spiegato il concetto dell’uso dell’insegnamento ricorrendo ad una metafora:

Il martello è stato creato per un certo uso, ma se ne travisiamo lo scopo o sbagliamo nell’utilizzarlo, ad esempio, colpendoci un piede, questo oggetto da utile diventerà pericoloso e dannoso, così è per gli insegnamenti.

Molto incisiva è anche la parabola che il Buddha ha usato nel Sutra ‘Il Miglior modo di afferrare un serpente’, nella quale paragona l’insegnamento ad un serpente velenoso che se sappiamo come afferrare non ci può nuocere e lo possiamo gestire a nostro piacimento, ma se non sappiamo come afferrarlo allora può rivoltarcisi contro.

Da qui, la necessità di attenersi nel modo più preciso possibile a quanto viene spiegato.

Precedentemente, ho parlato di “dolori” che si provano durante lo Zazen, ora vorrei far luce su tale punto per tutti coloro che intendono avvicinarsi alla meditazione. La posizione del loto o del mezzo loto, per chi come me è alle prime armi, difficilmente risulta confortevole; sembra che bastino pochi secondi di Zazen per essere invasi da una sensazione di dolore e dubbi sull’efficacia della meditazione Zen, rendendo impossibile “il pensare senza pensare”. In realtà, posso assicurare che, al termine dello Zazen ciò che rimane non è dolore, ma: concentrazione, armonia ed equilibrio con se stessi, con gli altri e con tutto ciò che ci circonda. In un tale stato, la pratica del Karate diviene così eccellente ed assume una diversa efficacia.

Il Gasshuku non è stato solo Zazen, Qi Gong e Karate, ma è stato scoprire, praticando alcune forme cerimoniali (come il pasto comunitario e il lavoro comunitario), lo spirito che sta alla radice della tradizione del Budo ed dello Zen.

La formalità e il contenuto dei rituali non sono scindibili dalla pratica di una qualsiasi arte marziale o dalla meditazione Zen, se lo scopo è comprenderle ed eseguirle al meglio.

L’incontro ha permesso a tutto il gruppo di entrare in perfetta sintonia, cosa fondamentale per lo svolgimento del Samu (lavoro manuale comunitario), sintonia che si è manifestata anche attraverso momenti di allegria durante le pause per i pasti informali.

Il Ken Zen Ichinyo Gasshuku è ricco di pratica, esperienza ed emozione, sarebbe limitativo e pretenzioso pensare di poterlo spiegare in modo esaustivo con poche righe.

Se si vuole avere l’opportunità di comprendere appieno una tale esperienza e l’inscindibile comunione tra arte marziale e Zen occorre, senza alcun dubbio, vivere in prima persona il susseguirsi di ogni prezioso attimo dell’evento.

A mio parere colui che non anela alla pace interiore e all’armonia non potrà mai approfondire compiutamente le arti marziali e, di conseguenza, non potrà essere realmente consapevole della propria vita. Solo attraverso la scoperta e la padronanza del proprio Io , la potenzialità dell’essere umano potrà svilupparsi e mantenersi in armonia con la natura.  La vera potenza e saggezza scaturiscono dall’interno per riflettersi all’esterno. Si può raggiungere dunque tale obiettivo mantenendo saldo il binomio Karate-Zen.

Attraverso la pace della mente e l’armonia interiore si rendono possibili conquiste personali incommensurabili.


[1] L'istante presente non ritorna mai più.
Durante Zazen, ogni nostra inspirazione ed espirazione è unica e non ritorna mai più.
Ieri era ieri ed oggi è oggi.
Dico sempre che bisogna concentrarsi "qui ed ora", creare "qui ed ora".
Così ci si rigenera, ci si rinnova.

 (Taisen Deshimaru, “Lo Zen e le Arti Marziali”)

[2] In realtà in Zazen si pensa eccome, ma è il nostro atteggiamento di fronte al pensiero che cambia completamente prospettiva, ovvero in Zazen siamo in grado di osservare i nostri pensieri e divenire pienamente consapevoli della inconsistenza del pensiero e di quel che accade nel momento presente, ed il pensiero diviene solo uno dei fenomeni transitori che incontriamo nel momento presente