Articolo tratto da “The Okinawa Times” del 17 giugno 1999.
Tradotto da Tetsuji Nakamura e Isaya Higa in inglese. Traduzione italiana di
Stefania Esposito
Un uomo al centro del Dojo pratica dei kata ripetutamente, con tutto se stesso. Mentre si muove, spruzza sudore dalla testa e dal corpo. Un altro uomo lo osserva attentamente, in piedi di fronte a lui, poi da dietro. E c’è ancora un altro uomo che guarda, un po’ più in là.
L’uomo al centro è Morio Higaonna, un giovane Maestro di Karate Goju-Ryu, che sta diffondendo attivamente il Karate in tutto il mondo. I due maestri che esaminano la sua esecuzione sono An’ichi Miyagi e Shuichi Aragaki; questi tre uomini, due maestri e il loro allievo, sono i successori del Karate Goju-Ryu. Questa forma di pratica si è fatta più intensiva da quando Higaonna è divenuto un praticante di Karate acclamato a livello mondiale; è come se fosse in atto un nuovo (consolidamento), non c’è fine alla loro pratica, che mira a “trasmettere la tradizione integralmente”, in maniera perfetta, senza compromessi.
An’ichi Miyagi, Maestro di Higaonna, è un allievo diretto di Chojun Miyagi, il fondatore del Karate Goju-Ryu. “Divenni suo allievo subito dopo la fine della guerra, intorno al 1948, quando Sensei Chojun venne a Naha da Gushikawa per lavorare nell’Accademia di Polizia”. A quel tempo An’ichi passava il tempo bighellonando con gli amici, senza uno scopo, e non aveva obiettivi particolari nella vita. Il Giappone era appena stato sconfitto in guerra e non avevano denaro né beni di prima necessità, per cui potevano solo bighellonare e chiaccherare, ogni notte. Finché una persona diede loro un consiglio: “Ragazzi, siete ancora giovani. Se non avete niente da fare, perché non iniziate a studiare qualcosa ? Conosco un bushi (Guerriero Gentiluomo) chiamato Maagushiku (l’antica pronuncia di Okinawa per Miyagi). Se vi interessa, posso chiedergli di insegnarvi”.
Chojun Miyagi era un eroe, noto anche come “Maagushiku lo strappa-carne” per via della sua presa, che si diceva fosse tanto forte da lacerare la carne dell’avversario. Persino An’ichi aveva sentito parlare di lui, benché non conoscesse nulla del Karate. “Non sapevo che un uomo simile esistesse davvero ed ero entusiasta di conoscerlo”, dice An’ichi, che decise su due piedi di diventare allievo di Chojun. Tuttavia, quando il Maestro Chojun vide il corpo ossuto di An’ichi, che aveva perduto i genitori durante la guerra e non aveva abbastanza cibo per sfamarsi, pensò che il ragazzo non fosse sufficientemente forte da sostenere l’allenamento. Così il Maestro Chojun per un po’, invece di farlo praticare, gli faceva pulire la casa e preparare il tè. Ciononostante An’ichi lavorava duramente, ogni giorno, nella dimora di Chojun: al mattino faceva le pulizie e si prendeva cura dell’orto; nel pomeriggio preparava il tè per gli allievi che venivano per la pratica. La cosa continuò per tre mesi. In seguito, Chojun spiegò ad An’ichi: “Quando ti ho dato ospitalità, dopo la morte dei tuoi genitori, ero molto preoccupato che l’allenamento potesse farti scappar via. Volevo essere sicuro che tu fossi veramente determinato a praticare”.
An’ichi non scappò; al contrario, non appena gli fu concesso di unirsi ai praticanti si applicò più intensamente di tutti gli altri per costruire il suo corpo, di modo da poter raggiungere gli allievi più anziani. Dopo un po’ questi ultimi cominciarono ad andarsene ad uno ad uno e ci fu persino un momento in cui An’ichi era l’unico allievo; in quel periodo Chojun insegnò ad An’ichi (che aveva solo un’istruzione elementare) molte cose oltre al Karate, come i nomi di ogni singolo (articolo casalingo).
Finché Shuichi Aragaki entrò a far parte del Dojo.
All’inizio anche Aragaki fu istruito per fare lavori come estirpare le erbacce dal giardino o attingere l’acqua. Chojun poteva ordinare ad Aragaki di spostare una pietra nell’altro lato del giardino, dicendo: “Sta meglio laggiù”, per poi dirgli, il giorno dopo, di rimetterla dov’era perché “Era meglio in quell’altro modo”. In realtà, anche questo faceva parte dell’allenamento. “Mi chiedevo perché mai mi facesse fare questi lavori, ma credo che stesse mettendo alla prova la mia forza spirituale. Una cosa mi colpiva molto, il fatto che persino quando io ed il Maestro An’ichi lavoravamo nel giardino Chojun ci osservava, vestito di tutto punto e seduto eretto. Ogni volta che visitavamo la sua casa per allenarci e gridavamo ‘Sensei, sono qui’, lui rispondeva ‘Così siete qui’ e si inchinava profondamente al nostro cospetto. Ci insegnava ad osservare il decoro dandocene l’esempio”.
Chojun era cordiale ed educato, ma diventava spietato quando si trattava di allenarsi. Era in grado di individuare ogni mancanza di concentrazione, non importa quanto breve. Era particolarmente severo sugli esercizi di riscaldamento/preparatori (n.d.r.: Junbi Undo), che spesso continuavano per due o tre ore.
E’ necessario avere un certo livello di preparazione fisica, per cominciare; solo in seguito si può iniziare la vera pratica del Karate.
Quando An’ichi Miyagi e Aragaki erano i soli allievi di Chojun Miyagi, Chojun esigeva da loro che impiegassero nella pratica tutta la loro forza. Per esempio, mentre si esercitavano nel Kakie (un esercizio nel quale bisogna bloccare l’attacco dell’avversario) le loro mani potevano diventare nere per i lividi. “Quando praticavamo i Kata, Sensei osservava la nostra esecuzione e ci correggeva la posizione dei piedi, delle mani e infine lo sguardo.
Era solito dire che gli occhi sono le armi più importanti, che ci consentono di vincere senza combattere e che dobbiamo prevalere sul nostro avversario con lo sguardo”.
An’ichi Miyagi e Shuichi Aragaki continuarono il loro allenamento e alla fine si unirono a loro dei nuovi allievi. In seguito An’ichi sostenne Eiichi Miyazato, il successore del Maestro Chojun, e lavorò sodo per aiutarlo ad allenare le nuove generazioni di allievi.
Aragaki si trasferì a Tokyo e divenne Maestro supplente in un dojo condotto da Takeshi Miyagi, il figlio di Chojun. Dopo vent’anni vissuti in quella città tornò ad Okinawa. Oggi Aragaki e An’ichi si dedicano, insieme, all’allenamento dei giovani maestri.
Osservando l’allenamento del Karate moderno, An’ichi ricorda le parole del suo Maestro: “Sensei Chojun disse una volta: ‘Ho sentito dire che nelle isole principali del Giappone si fanno combattere gli allievi tra loro come se facessero pugilato; questo equivale a far combattere dei pazzi dopo averli armati di coltello’. Credo che l’essere in grado di vincere senza combattere richieda maggior allenamento mentale e spirituale”.
Morio Higaonna, presidente dell’International Okinawan Goju-Ryu Karatedo Federation, si allena da oltre quarant’anni come successore di An’ichi Miyagi. “Devo ancora percorrere molta strada prima di poter essere considerato un successore. Il Karate è estremamente profondo, ed io sono ancora un allievo che si allena nel dojo con Sensei Miyagi”.
Con la sua modestia, Higaonna è fedele al titolo di “internazionale” e viaggia per il mondo insegnando il Karate in cinquanta Paesi. Il Paese col più alto numero di allievi è l’India, dove i praticanti sono 15-16.000. Ognuno dei cinquanta Paesi ha il proprio Capo-istruttore e sta diventando difficile valutare il numero totale di Dojo supervisionati da questi Capo-istruttori. “Persino un Paese piccolo come il Portogallo ha 120 dojo.
Una volta, a Lisbona, mi fu chiesto di insegnare a 400 allievi in una volta”, racconta Morio Higaonna Sensei.
Higaonna cominciò ad allenarsi sotto An’ichi Miyagi intorno al 1955. Poi si recò a Tokyo e divenne istruttore mentre continuava la propria formazione. Nel 1981, dopo che il primo festival internazionale di Karate ad Okinawa si era concluso con un successo, Higaonna, incoraggiato da An’ichi Miyagi e Shichi Aragaki, aprì un suo Dojo; quel Dojo sarebbe diventato l’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation.
Oggi Higaonna viaggia intorno al mondo insegnando Karate ma quando torna ad Okinawa si allena nel suo Dojo. Dice di passare intere giornate praticando un Kata in continuazione, sotto la guida di Miyagi; due ore al mattino, poi il pomeriggio dalle due fino a sera.L’insegnamento di Miyagi si concentra sullo Tsunagi del kata. “L’essenza del Karate – dice Miyagi – non è qualcosa che puoi insegnare a parole. Io stesso posso trasmettere solo ciò che ho imparato osservando il mio Maestro; l’ho guardato mentre faceva notare un’infinità di dettagli che non possono essere trasmessi a chiunque, ma io credo che Higaonna abbia le giuste capacità e voglio che conosca a fondo molte cose”.
Il fatto di viaggiare per molti Paesi e di insegnare a un gran numero di allievi alla volta può sembrare in contraddizione col modo di praticare di Higaonna, che consiste nel ricevere l’insegnamento dal suo Maestro, da uomo a uomo. Ma secondo Shuichi Aragaki, “preserviamo la maniera tradizionale di praticare mentre apriamo le porte a una moltitudine di persone che desiderano imparare il Karate. Non c’è contraddizione. I tempi sono cambiati ed è giusto che ci siano nuovi modi di diffondere il Karate”.
Il loro obiettivo principale è quello di far capire alle persone il Karate di Okinawa, il che alla fine porterà alla creazione di successori. Quando Higaonna insegna il Karate negli altri Paesi impartisce diversi tipi di allenamento, separando gli istruttori dai principianti e dagli allievi intermedi; a coloro che hanno già un buon livello di preparazione spiega le tecniche avanzate. Insegna in molti Paesi, ognuno con la sua lingua e cultura, e ad un gran numero di allievi, perché la presenza di un Maestro di Okinawa attira molta gente.
Ma a prescindere dal numero di allievi i suoi metodi basilari di allenamento rimangono gli stessi.
Dice Higaonna: “Ci sono persone negli altri Paesi che praticano veramente, sinceramente. Alcuni hanno acquisito la vera forza. Quello che dobbiamo fare ora è invitare queste persone a Okinawa e far sperimentare loro lo stile di allenamento di Okinawa. Un istruttore straniero che si era allenato a Okinawa tornò nel suo Paese e disse ai suoi allievi: ‘Se volete veramente dedicarvi al Karate, dovete sperimentare un allenamento a Okinawa’. Questo è esattamente il messaggio che cerchiamo di portare. Anche quando insegniamo all’estero non dobbiamo conformarci alla cultura locale, perché il nostro obiettivo ultimo è quello di far capire alle persone cos’è il Karate”.