Lo Sport e i Bambini
Una problematica sempre più attuale ed urgente che si manifesta in tutte le discipline
sportive è il cosiddetto fenomeno dell'abbandono.
Un numero sempre maggiore di fanciulli e ragazzi abbandonano la pratica sportiva in
modo definitivo con i gravissimi danni che ben si possono immaginare, non tanto in
termini di perdita di potenziali campioni, il che al limite sarebbe un danno poco grave,
quanto come perdita dell'opportunità per questi bambini di sviluppare appieno
attraverso una corretta educazione motoria tutte le loro potenzialità coordinative e
psicofisiche.
Sono lontani i tempi in cui il bambino poteva liberamente correre in un prato, lanciare
sassi, arrampicarsi sugli alberi (e qui qualche genitore tirerà un egoistico sospiro di
sollievo), sviluppando così più o meno spontaneamente le proprie abilità motorie. Oggi i
bambini crescono spesso relegati in un appartamento e le loro uniche possibilità di
apprendimento motorio le vivono nella Scuola (molto carente sotto questo aspetto) e
nella Società Sportiva. E' pertanto fondamentale al loro equilibrato sviluppo che non gli
vengano a mancare queste opportunità.
Il problema dell'abbandono è determinato principalmente da una errata metodologia
d'insegnamento adottata da insegnanti spesso non qualificati o comunque non preparati
adeguatamente alle esigenze di allievi in giovane età.
Verifico direttamente questa situazione, come docente federale, ogni anno quando inizio
a tenere le mie lezioni ai corsi della Federazione Italiana per il conseguimento della
qualifica di Allenatore, Istruttore o Maestro.
In questi corsi sono docente della metodologia preagonistica. Sarebbe a dire insegno ai
futuri insegnanti le moderne didattiche teoriche e pratiche riguardanti l'allenamento
giovanile, con tutte le sue implicazioni fisiologiche e psicologiche.
Ebbene, ogni anno ho modo di constatare come la disinformazione sia predominante.
E' importante sapere che nella fascia giovanile, che va dai 6 agli 11-12 anni d'età,
l'obiettivo primario deve essere quello di costruire in modo equilibrato tutte le capacità
coordinative e condizionali di ogni bambino.
Per far questo è necessario evitare qualsiasi genere di specializzazione precoce. Cioè
utilizzare una vastissima gamma di abilità motorie, anche quelle che non hanno un
immediata affinità con la disciplina praticata, evitando di ricercare risultati immediati in
termini tecnici.
Il bambino ha la sua fase sensibile di sviluppo delle capacità coordinative e psicomotorie
nella fascia d'età che va proprio dai 6 agli 11 anni. In pratica, il sistema nervoso è ina
fase evolutiva tale da favorire e richiedere lo sviluppo dei prerequisiti funzionali, le
capacità coordinative e psicomotorie appunto.
In questa fase è necessario che egli eserciti a sufficienza tutte le sue capacità
coordinative in modo da favorirne il loro ottimale sviluppo.
Inoltre è necessario che le esercitazioni proposte ai fanciulli siano "confezionate" in
modo tale che vengano incontro alle loro esigenze psicologiche, delle quali quella
primaria è il GIOCO.
La specializzazione precoce, andando invece a ricercare un perfezionamento esasperato
della gestualità tecnica tipica della disciplina praticata (sia essa il Karate, il nuoto, la
ginnastica...) trascura abilità e capacità che non sono immediatamente utili alla
specialità e che sono invece essenziali ad un corretto sviluppo fisico e soprattutto
mentale.
Cercando di costruire in tempi brevissimi un campioncino si sacrificheranno così decine
di bambini che abbandonata la pratica, per noia, stress...si ritroveranno con un bagaglio
motorio irrimediabilmente compromesso. Senza contare che anche quel possibile
campione potrà subire delle carenze sotto l'aspetto squisitamente umano nonostante la
sua abilità tecnico-tattica.
Abbiamo continuamente avanti agli occhi il comportamento umano tutt'altro che
esemplare di famosi campioni sportivi, deviati dalla mentalità agonistica esasperata e
commercializzata.
Gran parte dei mammiferi e in particolar modo l'essere umano, a differenza di altri
animali, sviluppa le proprie abilità motorie in misura predominante attraverso
l'apprendimento. Se, concedetemi l'esempio crudele, dei gattini appena nati, vengono
posti in un ambiente privo di luce essi rimarranno ciechi.
Essi avevano la potenzialità genetica, biologica della vista, ma senza lo sviluppo
derivante dall'esercizio della capacità stessa, dal suo apprendimento, questa capacità
rimane sottosviluppata.
Lo stesso accade nel bambino. Se ad un bambino non vengono correttamente fatte
esercitare indistintamente tutte le sue abilità, e soprattutto nella fase in cui il suo sistema
nervoso è ricettivo al loro sviluppo, quelle trascurate rimarranno immancabilmente
sottosviluppate. E poichè l'individuo, mente e corpo, è un insieme complesso ed
equilibrato, tutto il suo insieme ne viene compromesso.
Questo non significa che , come talvolta viene frainteso, il bambino non pratichi la
disciplina da lui prescelta, bensì, la pratica tecnica della disciplina deve essere inserita
in un contesto multilaterale ed utilizzata come uno dei tanti mezzi che avremo a
disposizione per allenare le varie capacità e non deve essere il fine ultimo della pratica
sportiva.
L'esasperazione agonistica, l'aspetto estremamente aggressivo e distruttivo che i mass
media e la nostra società in generale hanno privilegiato nel mondo sportivo conducono a
vivere lo sport come uno stress e un continuo confronto perdendo così di vista la pratica
sana di una corretta e piacevole attività motoria.