Mi permetto di aggiungere un commento alla frase di Higaonna
Sensei che apre l'articolo di Roberto Ugolini.
Credo che vada aggiunta una qualità a quelle che Higaonna Sensei ha elencato
come essenziali al Maestro, che è la capacità di pronunciamento, il coraggio
di esporsi.
E' sempre accaduto nella storia che con l'instaurarsi di un regime totalitario
venga vietata in quel paese la pratica delle arti marziali, è accaduto in
Russia, in Argentina e in Cina (anche se qui in forma meno esplicita è bastato
diffondere l'arte marziale di stato, snaturata nei contenuti e nelle forme, con
scopi sportivi).
Questo lascerebbe pensare che la pratica di un arte marziale favorisca la
formazione di uomini liberi e consapevoli della propria forza, pertanto
pericolosi ad un regime che punta all'omologazione.
Sembra invece che oggi, l'ambiente delle cosiddette arti marziali sia divenuto
il rifugio di frustrati, di omini, che cercano nelle varie discipline e
federazioni un misero posto al sole, un illusorio potere. Istruttori chiusi
nelle loro palestre timorosi del confronto, che è crescita, educano allievi in
ambienti ben lontani dall'essere stimolanti allo sviluppo della personalità.
Piccoli privilegi, cariche politiche nella miriade di federazioni, gradi in
regalo, vincere a tutti i costi in competizione, anche barando, queste sono le
motivazioni primarie dell'odierno 'maestro' di arti marziali. 'Maestro' è
divenuta una qualifica che si acquista in federazione.
Non è più l'allievo che incontra colui che da quell'incontro diviene il suo 'maestro'.
I praticanti di arti marziali, oggi, in Italia in particolare, sono ben lontani
dall'essere un pericolo per il sistema. Sono i primi ad essersi omologati
prostituendosi nella migliore delle ipotesi (la più dignitosa, in fondo) per
denaro.
Ma, Maestro, può essere solo quel personaggio scomodo che è padrone delle sue
scelte al punto di avere capacità di pronunciarsi in mille situazioni della
vita sociale, non solo nella sua palestra nei confronti di istupiditi allievi.
Maestro può essere solo chi continua con entusiasmo il proprio interminabile
percorso.
Il termine Sensei significa, infatti, colui che è nato prima, ovvero, come gli
ideogrammi lasciano intuire colui che si è incamminato prima.
Quindi, non colui che è arrivato da qualche parte!
E' qualcuno che è in cammino, e questo cammino lo plasma, continuamente.
Il Maestro Taiten Guareschi ha così definito il rapporto Maestro-Discepolo:
"...Vorrei fornirti un'altra immagine.. Immagina la
capacità di vedere un orizzonte.
Innanzitutto la capacità di vedere un orizzonte, perchè essa fonda la
relazione tra maestro e discepolo. Guardando questo orizzonte, uno è un pò
più avanti dell'altro, e pur tuttavia sono entrambi molto lontani. Ma sono
sempre li a guardare quell'orizzonte, è sempre steso davanti a loro. Da questo
punto di vista, il maestro è giusto un pò più avanti. Questo non gli
impedisce di essere di fianco al discepolo, anzi, spesso un pò dietro. Il
riferimento dell'orizzonte è fondamentale, altrimenti l'insegnante diventa un
appiglio, e non c'è orizzonte, nè per l'uno nè per l'altro."
E l'allievo deve,con la propria dedizione alla pratica,
tenere il passo al Maestro.
Colui che cerca nel Maestro rassicurazione lo abbandonerà presto perchè in lui
potrà trovare solo qualcuno che lo guidi su sentieri inesplorati, rischiosi,
alla ricerca di Sé.
Praticare e insegnare autenticamente un'arte marziale non è mai stata nè mai
potrà essere una scelta di comodo, confortevole, la scelta di chi non ha
trovato di meglio da fare o peggio, di chi con l'occasione 'si muove un pò' e
magari arrotonda il bilancio familiare.
Si devono accettare i rischi che comporta l'educazione.
La vera educazione passa attraverso lo stile di vita, l'esempio coerente e
sincero e tale educazione forma uomini liberi che hanno il coraggio delle
proprie scelte e sanno pronunciarsi.
Credo sinceramente che se oggi non siamo in grado di raccogliere la sfida nel
trasmettere questo spirito non possiamo più parlare di arti marziali nè
tantomeno di educazione.
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